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THE WRESTLER
(THE WRESTLER)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 8 marzo 2009
 
di Darren Aronowfsky, con Mickey Rourke, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Mark Margolis (Stati Uniti, 2008)
 
Prima di un film THE WRESTLER è un caso umano. Che ha poco di dorato, a parte il prezioso luccichio del Leone d'Oro conquistato all'ultima Mostra di Venezia; e, se volete, quello meno nobile dei lustrini, dell'abbaglio multicolore dei riflettori, degli specchietti per allodole in nome di un Sogno targato USA sempre più smunto. Tutto ciò che fa da sfondo all'universo dell'Ariete, Randy “The Ram” Robinson, stella del wrestling, è il catch estremo della fine degli anni Ottanta. Cinquantenne autodistrutto per via dei soliti eccessi, ormai ridotto agli ingaggi da fame nelle sale di periferia, la vita solitaria nella roulotte per la quale stenta a pagare l'affitto, il laborioso corteggiamento della spogliarellista da balera (Marisa Tomei, che fa risplendere di una luce tutta sua questo personaggio-specchio), la minaccia dell'incombente crisi cardiaca tra i supermercati di quel New Jersey degli sfigati.

Tutto già visto? Già, se non fosse che la parabola di Randy è tremendamente simile a quella di Mickey Rourke: l'ex schianto sfrontato di 9 SETTIMANE E ½, l'impatto da urlo alla Brando ne L'ANNO DEL DRAGONE di Michael Cimino, il detective ambiguo e sbrigativo dell'ANGEL HEART di Alan Parker, l'ex debuttante, assieme a Matt Dillon, nel RUMBLE FISH di Francis Coppola; ma al quale ormai i produttori non si fidano più ad affidare un ruolo: proprio come a Randy l'Ariete, costretto a scalare l'automutilazione pur di farsi assumere dagli impresari di terza categoria.

Raramente nel cinema si è visto un attore incorporare a tal modo in un film; materialmente, e poi mentalmente. Massacrato nella carne e più ancora, con il progredire della vicenda, nello spirito. Un po' quel che succedeva al più leggendario fra i tumefatti a morte del filone pugilistico sempre caro al cinema americano, il mitico Robert de Niro di RAGING BULL. Ma l'eroe di Scorsese viveva a fondo il proprio martirio per evadere in perfetta coscienza dalla sua normalità; abbracciava, nella propria redenzione, tutte le colpe del mondo. Il Mickey Rourke di THE WRESTLER rivive nella rassegnazione il proprio tragitto esistenziale: certo, anche per riconquistare la fiducia di una figlia dimenticata, o farsi accettare dalla sua donna non soltanto come cliente; ma soprattutto poiché impossibilitato ad abbandonare le ragioni di vita che gli giungono da un ambiente e da un ruolo idealizzato. Non a caso, le scene più riuscite, le più intense del film non sono le più scopertamente melodrammatiche, ma quelle girate con la cinepresa a spalla, all'"europea", dietro le quinte di uno spettacolo esibizionista, sfacciatamente crudele, ma pure affettuosamente conciliante: la solidarietà quasi accorata fra i lottatori, quel loro modo di preoccuparsi di nuocere il meno possibile al collega di (dis)avventura dietro il loro ghigno feroce.

Non nuovo a un mondo di vittime in un passato quasi cult (il più noto, REQUIEM FOR A DREAM, sulla droga), ma all'interno di un cinema di ricerca barocco, ai confini del surrealismo, Darren Aronowfsky si è dato una calmata. Confrontandosi all'immedesimazione straordinaria del suo attore, lo ha assecondato nell'attenzione, a tratti minuziosa, per i dettagli di un documentario sociale; senza per questo rinunciare a contrapporlo alla sua cornice più fittizia ed onirica. Per sfociare in quel finale dalle grandiloquenzi pari soltanto a quella di un protagonista che abbiamo spiato nell'intimismo delle sue tinture al platino e delle sedute autoabbronzanti, ma assolutamente conforme alla tradizione hollywoodiana, forse sempre più sconsolata, dello “the show must go on”.


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